Lettera di Liliana Segre

Pubblichiamo il testo della lettera scritta e trasmessa dalla Senatrice Liliana Segre in risposta all'invito del Sindaco per l'inaugurazione dell'opera a Lei dedicata e realizzata dall'artista Sara Marioli.
Stimato Sindaco di Saltrio
saluto con vero piacere l’iniziativa del vostro Comune, di commemorare il 25 aprile con l’inaugurazione dell’istallazione “Incontro” sui sentieri delle vostre montagne che portano in Svizzera.
La scelta di unire la commemorazione della Liberazione dal nazifascismo con l’inaugurazione di un’opera d’arte, tra l’altro all’aperto, su sentieri per tanti versi fatali, è particolarmente felice.
Coltivare la memoria non è infatti solo un mero esercizio mnemonico, anche se ricordare fatti e persone è sempre importante, ma per diventare coscienza comune, consapevolezza collettiva, ha bisogno di un integratore morale e culturale come solo l’arte è in grado di garantire.
Ringrazio dunque l’autrice dell’opera, Sara Marioli, così come tutti i partecipanti all’iniziativa di inaugurazione.
Purtroppo per motivi di salute e sicurezza non potrò essere presente, ma spero vogliate accogliere queste mie parole come segno di vicinanza e condivisione.
Di nuovo un caro saluto a tutti,
Liliana Segre
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"Incontro" è il titolo dell’opera scultorea inaugurata il 25 Aprile e che ora abita il “nostro” Monte Pravello.
Si tratta di un insolito monumento alla memoria, dedicato a Liliana Segre e a tutti coloro che tentarono la fuga in Svizzera, durante il secondo conflitto mondiale, percorrendo i nostri sentieri. Alcuni vi riuscirono; altri, come lei, videro la loro speranza spegnersi a due passi dalla salvezza.
Perché "Incontro"? Perché non si tratta di un canonico monumento posizionato su di un piedistallo, unicamente da osservare, ma di una scultura che interagirà a pieno titolo con l’ambiente circostante e con tutti noi.
Qualcuno una volta disse che prima di giudicare una persona è necessario camminare per tre lune nei suoi mocassini. Incontro ci consente di fare proprio questo: ci permette di indossare, simbolicamente, le calzature degli altri, di coloro la cui fuga verso la libertà fu inchiodata lungo la via, a due passi dalla ramina.
Senza parole, senza orpelli: solo attraverso la forza della materia.